Perché in Sardegna ogni anno bruciano migliaia di
ettari di bosco?
Bella domanda, dirà qualcuno, e a ragione giacché gli organi istituzionali preposti spendono ogni estate una fiumana di milioni di euro senza riuscire né ad attenuarlo, il pernicioso fenomeno, né, tanto meno, a debellarlo.
Chi ha memoria storica dell'ambiente agro-pastorale vigente nell’immediato
Dopoguerra (e anche durante), quando le campagne di tutto il territorio sardo
erano coltivate e popolate e l’abbruciamento delle campagne rappresentava una consuetudine invalsa, non può che restare sbigottito al cospetto del fenomeno incendiario cui oggi si assiste
impotenti.
I contadini, mercé un pragmatismo sobriamente
istintivo, senza che dovessero chiedere benestare
a chicchessia, appiccavano il fuoco ai rispettivi terreni per debbiarli e
predisporli per le coltivazioni della stagione successiva.
Ciononostante non si vivevano situazioni di drammaticità tali da poter essere
raffrontate alle calamità che accadono puntualmente ora.
Quando capitava, e purtroppo succedeva, che qualche
operazione di abbruciamento andasse fuori controllo, si diceva “su fogu fuiu”,
anzitutto si sapeva chi lo aveva causato e poi, in ogni caso, i danni erano
relativi. I controlli, infatti, in modo del tutto spontanei, erano pressoché
generalizzati giacché i proprietari dei terreni confinanti adempivano le stesse
incombenze attenuando i danni, mentre il territorio sardo era comunemente
rappresentato come una sorta
di giardino fiorito.