DUE “PONTI” A CONFRONTO
LA POLITICA? Quella cattiva abbonda ma non ci piace, quella buona è rara
ma è preziosa.
Ma come si fa a
distinguere l’una dall’altra?
Gli addetti ai lavori, i politici appunto (ma non sono da meno neppure taluni giornalisti),
fanno di tutto per non farci capire (basta seguire uno qualsiasi dei numerosi talk show che tutte le sere ci propina la TV). Parole, parole, parole…soltanto parole.
Un cinetismo verbale (fa scuola quello renziano) che ci stordisce, fino a obnubilare
la nostra mente, soprattutto se siamo, o crediamo di essere, arrabbiati.
Siamo un popolo di
creduloni. Tutto ciò che ci danno in pasto, lo fagocitiamo con straordinaria naturalezza.
Assimiliamo tutto, anche le peggiori nefandezze, come gli
sperperi continui delle nostre risorse lavorative, che in misura oltremodo
rilevante (noi italiani siamo tra i più tartassati al mondo), ci sottraggono
dalle nostre buste paga, ogni giorno più miserevoli.
Il presidente dell'Anas aveva detto: "Opera strategica."
Ponte beffa inaugurato a Natale crollato la notte di Capodanno
Il presidente dell'Anas aveva detto: "Opera strategica."
Ponte beffa inaugurato a Natale crollato la notte di Capodanno
I responsabili pagheranno tutto, disse Matteo Renzi, allora presidente del consiglio, nella didascalia di questa emblematica e drammatica immagine:
A pagare, checché ne dica (o abbia detto) Renzi , siamo sempre noi, poveri contribuenti. 05.01.2015.
“Se
possiamo impedire ai politici che governano di sprecare la fatica del popolo
con il pretesto di averne cura – diceva Thomas Jefferson – faremo felice il
popolo”.
Se possiamo impedire. Ma come fare?
Se possiamo impedire. Ma come fare?
Quel grande maestro del giornalismo che è
Gianni Filippini, commentando il mio libro A TUTTO CAMPO 2.0, dice fra l’altro,
“…mette a fuoco i problemi sociali e chi dovrebbe risolverli…”.
A TUTTO CAMPO 2.0, infatti, non si limita a
evidenziare le problematiche che affliggono il Popolo, ma indica anche le soluzioni idonee per risolverle. E’ una
sorta di diagnosi e terapia.
Il libro, la cui immagine di copertina è
riprodotta anche in questa bacheca, nel caso qualche amico
desiderasse consultarlo, è disponibile facendone semplice richiesta all’Autore.
Ma torniamo alle infrastrutture: ponti,
strade, grandi opere…e quant’altro in cui siano necessari soldi pubblici, vale
a dire “la fatica del popolo”, e poniamoci qualche domanda:
Nel
realizzare le grandi opere, sia a livello politico sia a dimensione più
propriamente tecnica, si è più bravi oggi, supportati anche da macchinari di
alta tecnologia, oppure facevano meglio gli uomini del passato, che non
possedevano altro che la loro intelligenza e riserve inesauribili di “olio di
gomito?”.
Dopo
aver analizzato la struttura inaugurata a
Natale e crollata a Capodanno, si ammiri quest’altra immagine.
E’ il Ponte
Romano di Allai “…un paese antico, le cui origini si perdono nella
notte dei tempi. E’ un comune piccolo, incorporato nella remota “curadoria”
Barigadu, uno dei distretti amministrativi del Regno giudicale di Arborea. Ora
fa parte della provincia di Oristano, da dove è distante circa trenta
chilometri. Posto a valle del Fiume Massari, è prospiciente il Monte Grighine, di cui sembra esserne un’amena
appendice…” (da “Un Angelo per Amico”, libro autobiografico di Salvatore Pili).
Il
Ponte Romano di Allai si fa venerare,
stupendoci ogni volta, da circa duemila anni e, magari con qualche arcata in
meno rispetto all’origine, conserva intatto tutto il suo fascino e la sua incommensurabile
bellezza.
Con
Gianni Filippini, un altro dei maestri del giornalismo che molto ammiro è
Francesco Alberoni, sociologo, giornalista e scrittore, indipendentemente dal fatto che possa o no, in tutto o
in parte, condividere sempre i suoi scritti.
La
sintesi che il grande Maestro propone a proposito di moderno e antico, di bello e di brutto, in un recente editoriale pubblicato su il Giornale di Milano, è veramente efficace e straordinaria,
meritevole di tutta la nostra attenzione:
…Siamo noi che creiamo il brutto. Perché creiamo sempre nuovi
oggetti e disseminiamo dovunque i prodotti della loro distruzione, i rifiuti.
Perché creiamo entropia. Il luogo della massima distruzione di ciò che ha avuto
forma, l'orrore del nostro secolo, è la discarica. E l'incubo che ci sovrasta è
di trasformare il pianeta in una immensa, immonda discarica…
Ma perché le rovine, invece, ci piacciono? Perché testimoniano
non una decomposizione, ma una sopravvivenza. Lo stesso oggetto, se non viene
visto come spazzatura dell'oggi ma come reperto archeologico, muta valore. Quel
frammento è un segno, un indicatore, una finestra su un passato integro, su una
vita che non è più ma che, come ogni vita, ci interessa, ci attrae. Tutto ciò
che è stato vivo, tutta la nostra storia, tutta la patetica storia della vita
fa parte del nostro essere. Alberoni, 2,4,17.
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