La pubblicazione di opere discografiche che rappresentino un tipo di cultura musicale che sappia in qualche misura d'eccellenza, è oggi veramente difficile, o addirittura impossibile. Le case discografiche, quelle che sono riuscite a sopravvivere alla crisi (dove sono finite le gloriose: Cetra, Columbia, Fonit, Parlophon, La voce del padrone e tante altre?), non vogliono neppur sentir parlare di accogliere nelle loro etichette musiche che richiedano all'ascoltatore un minimo d'impegno culturale. Motivo prevalente di tale diniego, tuttavia, non è il fatto culturale in sé, giacché, a detta degli stessi discografici, è sempre numericamente rilevante l'utenza potenziale riguardante il panorama musicale colto, ma piuttosto il diffuso mal vezzo della pirateria discografica, laddove da un disco regolarmente acquistato c'è chi non si pone scrupolo alcuno per duplicarne poi a decine, in barba alla comune morale e alle leggi vigenti, che tassativamente lo vietano. Meno ancora si preoccupano degli effetti negativi che tale tipo di comportamento produce nell'animo dell'artista. Non è certo piacevole, per chi ha fatto della musica la ragione della propria vita, scoprire che la sua opera è stata impropriamente saccheggiata e lui stesso, di conseguenza, defraudato ("...per filosofare", diceva Thomas Hobbes, "occorre vivere e per vivere occorre mangiare". Nessuno lo dimentichi!). Non meno grave è il danno che ne deriva alla stessa industria discografica, costretta spesso a riduzione di personale e a produrre, anziché buona musica, disoccupazione.